PFW: Louis Vuitton Menswear SS ’22

La collezione uomo primavera-estate firmata Virgil Abloh per Louis Vuitton rompe definitivamente la cornice dentro cui il designer ha operato finora.

Con questa presentazione Abloh ha raggiunto l’apice della sua sperimentazione, riuscendo a coniugare sapientemente le questioni culturali di genere con la moda. Il risultato è “un continuo filone logico sulla diversità e il design”, come lui stesso sostiene.

Dunque, ciò che fa Abloh, attraverso i molteplici riferimenti filmici e alla cultura pop, è creare una narrazione più vasta, in cui la moda è solo una delle sue parti. In effetti, mai come in questo periodo di pandemia la comunicazione di moda è cambiata a tal punto da intrecciarsi a molteplici contesti.

Tra le principali fonti d’ispirazione c’è sicuramente il sound della musica nera, l’Hip-Hop, il Jungle e il Rave. È proprio da queste sottoculture che si fanno strada le mode dello streetwear, che in questo contesto si fondono con l’eleganza della manifattura sartoriale.

La giustapposizone di due mondi apparentemente diversi – streetwear e sartoria – è materialmente espressa attraverso le giacche a scacchi colorati; “il gioco degli scacchi si rifà molto alla vita vera”, spiega Abloh, “due entità separate che si sfidano secondo una strategia[…]”.

Anche nelle silhouette riverberano le figure degli scacchi, le forme allungate dai cappelli a cilindro, i completi scuri che aderiscono al corpo elegantemente. E dalla parte opposta incontriamo tutto ciò che diverge dalla linearità; colori sgargianti -blu elettrico, verde neon, giallo, il rosa shocking.

Insieme ai riferimenti delle sottoculture, appaiono anche alcuni dettagli del Kendo, le arti marziali giapponesi. “Mi piace moltissimo il fatto che le arti marziali si siano diffuse in altre culture e che proprio questa contaminazione le abbiano rese qualcosa di diverso”. Per me questo concetto è cruciale”, afferma il designer.

Questioni culturali e d’integrazione, fanno da cornice alla storia di un padre che aiuta il figlio a crescere, a farsi spazio nel mondo. D’altronde, è proprio quello che la pandemia ci ha spinti a fare. “È tutto metaforico: il genitore e il figlio, quel bisogno di protezione di cui abbiamo bisogno in momenti d’incertezza”, conclude Abloh.

 

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